MADE expo: il futuro delle nostre città
Si terrà a Milano, presso il polo fieristico di Rho, da mercoledì 8 a sabato 11 marzo, Made Expo 2017, la più recente edizione di un salone dedicato all’architettura e all’edilizia, strutturato su quattro saloni, che ogni volta attira attenzione e pubblico, confermandosi come una grande “fucina” di idee, progetti e collaborazioni.
Una caratteristica interessante di Made Expo è il focus che viene posto nel corso dei lavori, sulle evoluzioni future.
Città in trasformazione: riqualificare e rinnovare
Nei prossimi anni cittadini, amministrazioni e progettisti saranno coinvolti in una grande sfida: realizzare piani di rigenerazione urbana che puntino ad arrestare il consumo di suolo e a trasformare zone già urbanizzate.
La grande sfida sarà realizzare un piano di rigenerazione urbana che punti ad arrestare il consumo di suolo e a trasformare zone già urbanizzate (ad esempio gli ex-scali ferroviari nelle grandi città) in aree di aggregazione, servizi e parchi urbani. Già attuate in altri Paesi, queste innovative politiche urbanistiche hanno dato un contribuito fondamentale alla riqualificazione del capitale sociale delle periferie.
Secondo l’osservatorio MADE expo, la sostenibilità è un modo di pensare e progettare che risponde a un’istanza sociale e rappresenta la direzione in cui si stanno muovendo istituzioni e municipalità rispetto al disegno della visione del futuro paesaggio delle città.
In questo nuovo panorama MADE expo giocherà un ruolo fondamentale.
Grazie alla sua formula in quattro Saloni tematici specializzati e a un palinsesto ricco e articolato, MADE expo consentirà di conoscere in anteprima materiali e soluzioni protagonisti sia della ripresa del mercato delle costruzioni sia, come spiegano l’architetto Stefano Boeri e lo storico John Foot, di quella che è considerata la grande sfida del futuro: rigenerare le città partendo dalle periferie.
La ripresa parte dalle periferie
A cura di Stefano Boeri, architetto
In Europa, sempre di più viviamo in città diffuse, disperse e frammentate, i cui tessuti urbani aumentano ogni anno il proprio diametro, pur generando deserti al loro interno, città in cui centro e periferia sono parole dure e difficili da definire. Non perché non ci siano centri o non ci siano periferie, ma perché oggi, per i fenomeni demografici e di immigrazione, per la polivalenza di culture che abitano le nostre comunità urbane, la questione è diventata irriducibile ad una semplice opposizione centro/periferia.
Se abbandoniamo la matrice storica e assumiamo una prospettiva sociale, è chiaro infatti che le aree di disagio e di sofferenza non sono le aree di ultima costruzione o le aree di margine delle nostre città, per quanto a volte la distanza dal centro sia un fattore importante sul mercato dei suoli e quindi sul costo delle abitazioni.
La periferia non corrisponde – necessariamente – ai quartieri geometricamente distanti dal cuore antico, ma a tutti quei luoghi – ovunque essi siano – dove c’è un’evidente assenza di ricchezza e di servizi: situazioni di degrado che si presentano in contesti geografici molto diversi. In Italia abbiamo città dove questo tipo di periferia è nel cuore stesso della città: i Quartieri Spagnoli a Napoli così come il centro storico a Genova sono luoghi di sofferenza e di assenza di servizi. O come via Gola, a Milano: vicino alla Darsena – che è forse l’espressione massima della rigenerazione milanese, un pezzo di città bellissimo – c’è una zona dove i caseggiati popolari sono occupati abusivamente per l’80% da spacciatori che hanno installato lì un punto di immagazzinamento e distribuzione della droga. Forse quella non è periferia?
Da questo tipo di situazioni è evidente come si stiano formando, nelle città europee, vere e proprie Anticittà: qualcosa che cresce parallelo alle città, anche dentro di esse, come un corpo separato. L’Anticittà non è qualcosa di contrapposto alla città; piuttosto, ne rappresenta una declinazione particolare: un modo – il più recente – di fare città, che convive con le altre forme storiche di produzione della città erodendole dall’interno. Un movimento interno, e insieme distruttivo, del fare città.
Due sono i connotati principali dell’Anticittà odierna. Da un lato la frammentazione del tessuto sociale: l’accostamento di monadi urbane non comunicanti tra loro, isole monoculturali senza finestre verso l’esterno, del tutto disinteressate al funzionamento dell’organismo geografico e antropologico a cui pure appartengono. Dall’altro lato, complementare, la dissipazione: un processo costante di diluizione dell’intensità delle relazioni umane sul territorio, in cui i legami di vicinanza tra comunità differenti si allentano e gli scambi di pratiche, risorse e informazioni vengono meno. È proprio questo, secondo me, il problema centrale della città oggi: una progressiva diluizione dell’intensità urbana, di scambi e di relazioni. Si tratta di un processo progressivo di impoverimento sociale, perché dove gli scambi e le relazioni tra gli abitanti sono deboli, le città si impoveriscono.
Oggi il pericolo per la sicurezza della vita civile non arriva tanto dalle periferie geografiche, quanto dai luoghi a bassa intensità, che non corrispondono ai margini esterni di una città, ma la costellano come un arcipelago: sono queste le zone in cui si annidano i rischi maggiori, zone caratterizzate da miseria e degrado, o dalla mancanza di servizi, quanto dall’assenza di relazioni. Zone non necessariamente povere economicamente, ma senza dubbio povere socialmente, in cui non c’è possibilità di scambio e di incontro fra persone. Ed è questo per me il problema delle nostre città: la diffusione delle aree a bassa intensità.
Le politiche urbane non possono essere semplicemente politiche che riducono le distanze centro-periferia, o che intervengono localmente per portare servizi. È necessario un intervento più complesso, che miri a promuovere condizioni di urbanità, di intensità di scambi e relazioni. Si tratta di creare, da un lato, spazi di aggregazione, di cui le singole comunità possano appropriarsi e che possano gestire; ma allo stesso tempo bisogna creare spazi di interazione, dove le diverse comunità possano incontrarsi. Un esempio in questo senso sono le piazze italiane, da sempre luoghi dove tutto può accadere: spazi pubblici aperti, la cui indeterminatezza e generosità è per me il miglior segno dell’intensità di cui parlo.
Verso la città sharing e smart, c’è MADE expo
Le riflessioni di Boeri e Foot pongono l’accento sulla trasformazione in atto nelle nostre città. Imprescindibile da un cambiamento culturale che veda una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica: sia che si tratti di centro storico da salvaguardare, sia di periferia da rigenerare.
È in questa prospettiva che la fiera MADE expo gioca un ruolo da protagonista: attrae innovazione e ricerca, propone soluzioni e materiali, porta l’attenzione sui protagonisti delle future trasformazioni delle nostre città.
L’appuntamento, allora, è per mercoledì 8, presso le strutture di Fiera Milano Rho. Troviamo tutte le informazioni sul sito di MADE expo.
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