L’Etna e i suoi borghi
Il maestoso vulcano ha il volto oscuro delle colate di lava pietrificata ma via via che digrada a mare è ridente di aranceti dalla polpa sanguigna come il temperamento dell’isola. A tenere d’occhio le grandi potenzialità dalla zona dell’Etna, sono oggi anche i piccoli comuni etnei, dove le amministrazioni più argute si sono inventate le strade del vino e kermesse fantasiose dedicate all’agricoltura. Una formula culturale prima ancora che economica, a cui credono gli amministratori locali. Sono terre molto ricche quelle intorno all’Etna: il fertilissimo terreno lavico favorisce, da un lato, la produzione di ottimo vino doc e, dall’altro, permette la produzione di legno per la creazione di infissi, scale e tetti. E vanno ancora forti raccolta e conservazione di funghi locali, produzione di frutta e, ovviamente pasticceria.
Le fortune geografiche di questo spicchio di Sicilia sono ora sul tavolo di tre piccoli comuni alle pendici della montagna, una volta deputati quasi esclusivamente alla villeggiatura dei catanesi: Trecastagni, Pedara e Viagrande. Le origini di questi paesi possono risalire persino all’epoca latinomedioevale, ma documenti più precisi risalenti al 1300 accertano l’esistenza di questi borghi pedemontani sviluppatisi intorno a luoghi di culto simbolo della cristianità (Chiese dedicate alla Vergina Maria o a S. Nicola di Bari). Inoltre, fonti certe riportano che i tre Casali erano intorno al 1600 sotto la giurisdizione del vescovo di Catania, per poi essere venduti nel 1640 alla famiglia messinese Di Giovanni: conobbero così il periodo più florido della loro storia, diventando importanti centri di attività economica e sociale, i più ricchi e organizzati dell’Etna. Ma, come per il resto della Sicilia orientale, anche in questo caso lo sviluppo urbano ed economico di quest’area subì una brusca frenata a causa del più violento sisma cha la storia locale ricordi: era l’11 gennaio del 1693 e, in pochi secondi, fu ovunque un cumulo di macerie. Solo intorno alla metà del 1800 quest’area riprese a svilupparsi grazie alla nascita di una borghesia terriera che ebbe un ruolo importante nella trasformazione dei terreni collinari in vigneti. Lungo la Via Regia che collegava Catania a Messina sorsero così numerose ville poste ai margini di grandi vigneti impiantati nei terrazzamenti in pietra lavica. In genere, queste ville signorili si articolano su due piani, dei quali quello superiore, il piano nobile, si affaccia su un’ampia terrazza sostenuta da archi; gli intonaci hanno il caratteristico colore delle sabbie grigie e delle pozzolane rosse dell’Etna.
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Ancora oggi, percorrendo le vie che da Trecastagni e Viagrande portano a Zafferana Etnea il territorio è arricchito di sinuose colline, per lo più crateri ormai inattivi, e splendide ville che dominano un paesaggio mozzafiato che guarda, da una parte, al maestoso vulcano Etna e, dall’altra, alla costa ionica. Sono questi i motivi che hanno spinto diversi catanesi ad abbandonare la città per rifugiarsi nella quiete di queste piccole cittadine. Gli amministratori locali stanno ragionando da qualche tempo sul loro sviluppo confidando in azioni sinergiche, dettate sostanzialmente da una comune identità morfologica e culturale. Insieme è più facile accedere ai bandi europei e pensare in grande, convengono. I vecchi piani regolatori erano convergenti sulla scelta di non edificare in altezza. Villette orlate di glicine e boschi protetti ad ogni costo ribadiscono la filosofia dello strumento urbanistico di ognuno di questi centri alle pendici dell’Etna dove, con un po’ di lungimiranza, si possono inanellare veri affari immobiliari, con una spesa che non oltrepassa mai i 4 mila euro al metro quadro. Dalle splendide ville settecentesche, di cui nemmeno i decenni di incuria possono offuscarne l’antico splendore, alle villette col cortile nel cuore del paese, ai bagli in campagna, tipiche costruzioni fortificate nate per difendersi dal brigantaggio, perfetti per essere riciclati come agriturismo o pensatoi della cultura.
La percezione che si ha percorrendo quest’area etnea è quella di attraversare centri storici vivi, ben conservati e ricchi di tradizione; di ritrovare fuori dai centri abitati una certa unità stilistica e funzionale; di avvicinarsi con discrezione al gigante Etna senza abusare delle sue bellezze, visto che la creazione del Parco dell’Etna nel marzo del 1987 (primo parco in Sicilia) è stato uno strumento utile per mantenere lontano lo spettro della speculazione edilizia e innescare un processo virtuoso di sviluppo sostenibile. L’incremento demografico di questi ultimi anni, creato dalla tendenza a svuotare le città, privilegiando la qualità della vita del piccolo centro raggiungibile in una manciata di minuti, ha richiesto nuova edilizia, ma le nuove autorizzazioni sono state rispettose delle antiche scelte urbanistiche. Un settore quello del cemento, che è per questi luoghi una fonte di ricchezza, in virtù anche di mestieri artigianali rari, come la lavorazione della pietra lavica.
Ma a Trecastagni, come a Pedara e Viagrande, si liberano nell’aria nuove ambizioni: tra queste, il turismo, l’agricoltura a Km 0, e la vitivinicoltura. Altri comuni etnei li precedono nel disegno da diversi anni, come Nicolosi e Zafferana, famosa per il miele, con il vantaggio strategico di collocarsi alle porte del vulcano e di essersi organizzati per tempo con collegamenti appropriati. Ma lo sviluppo sa parlare diverse lingue e gli amministratori provano a intonarle. Una volta, l’economia del luogo, dieci mila anime o poco più, si basava sulla lavorazione del legno estratto dai castagneti. Da qui probabilmente il nome del paese. Oggi la scommessa è nei vigneti intorno all’Etna. Un buon esempio viene dalla cantina Nicosia, con i suoi sei ettari coltivati, impiantati a 700 metri d’altezza, di nerello mascalese, cappuccio e mantellato da cui si imbottiglia un ottimo rosso doc. Il 20% della produzione è bianco catarratto e carricante, vitigno tipico, quest’ultimo, dell’Etna. L’azienda fu fondata nel 1898 dal bisnonno Francesco ma ora a portare avanti il business è Carmelo.
di Loredana Ficicchia Foto di Gianni Mania
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