Il roseto sulle Dolomiti
Il roseto creato da Lotte Zemmer a Bulla, minuscola frazione di Ortisei, è un luogo di assoluta bellezza e armonia. Settemila piante di rose di ogni tipo: dalle tappezzanti alle rampicanti, da quelle a fiore maestoso e nobile come la Anna, dai tenui petali rosati, o la vellutata Baccara, dall’intenso rosso cremisi. Dalle varietà quasi selvatiche che formano sui loro cespugli allegri e variopinti mazzetti, come l’Angela o la Amulett, entrambe del tipo Rosa Polianta, alle “rose miniatura” create da Ralph Moore e le italiche rose Barni, ibridi, dalle mille screziature.
Oltre duecento le tipologie nel giardino, affacciato sulla stretta e ripida valletta con vista verso Ortisei e disposte con cura per esaltarne le caratteristiche individuali, l’alternanza dei colori, in un costante e sapiente gioco di rimandi che affascinano il visitatore.
E sono in tanti, dai vari comuni e frazioni della Val Gardena e non solo, a salire fino a Bulla per visitare il roseto, cresciuto nel tempo come una vastissima ed eccezionale cornice intorno all’Uhrerhof, l’albergo della famiglia Zemmer. Una vittoria della volontà per Lotte che a dedicarsi alle rose, quassù, non aveva mai pensato.
Un roseto in Val Gardena: che sogno!
“Tutto è nato quasi per caso. Nel 2008. Uno dei nostri clienti, importatore di fiori e rose, un giorno mi ha chiesto come mai nel giardino dell’albergo, fra tanti bei fiori, mancassero proprio loro. Risposi che nella nostra valle, tanto fiorita nella buona stagione, le rose non facevano parte della tradizione floreale. Troppo delicate per il nostro clima, con il termometro che d’inverno scende anche a meno quindici. Peccato, disse lui e finì così. Poi, una volta finita la vacanza, tornò a casa e dopo qualche tempo mi arriva una sua telefonata: ‘Può venire fra due giorni a Bolzano? Per fare cosa?’ Chiesi io. Non si preoccupi. Andai e, con mio grande stupore, vidi arrivare un camion con trenta vasi di rose. Bellissime. Sono per lei – mi disse – Provi a piantarle. E adesso dove le metto? Mi chiesi. Con i primi geli moriranno tutte. Ma non fu così. Perché l’inverno lo passarono benissimo e a primavera mostravano di essere in ottima salute. Così decisi di piantarne ancora e poi ancora, imparando a conoscere le diverse tipologie e le possibilità cromatiche”.
Nasce il progetto
Per Lotte l’idea di dare vita a un roseto prende forma e con essa la necessità di razionalizzare lo spazio. Allora, su un gran foglio di carta bianca, comincia a disegnare il progetto riproducendo anche con il colore gli effetti cromatici desiderati. Poi chiama un ragazzo del paese, proprietario di una scavatrice con cui comincia a creare i sentieri, rubandoli ai fianchi scoscesi della montagna, là dove c’erano solo prati incolti. Prende forma un percorso zigzagante collegato da scalette in legno o pietra, con angoli per sostare e archetti di metallo su cui far arrampicare le rose. Le difficoltà non la spaventano e al lavoro è abituata. Da sempre.
“Quando ero bambina qui a Bulla, come del resto anche in luoghi più noti della Val Gardena, la vita era dura. Vivevo con i genitori e i tanti fratelli nel maso dove ora gestiamo l’hotel. Di comodità neppure a parlarne. Altro che lavabiancheria e scaldabagno.
Non c’era neppure l’acqua corrente e per prenderla si andava al pozzo. Fra la neve alta. Noi che avevamo tre mucche e un pezzo di terra eravamo fortunati. Ma per necessità economica dovemmo trasferirci a Castelrotto. Il maso venne abbandonato. Mio padre provò a venderlo ma nessuno lo voleva. Per questo, quando mi sono sposata con un cuoco, abbiamo pensato di prenderlo noi e farne una piccola pensione, che poi è cresciuta nel tempo. Ora siamo diventati anziani e ho ceduto la conduzione a mia figlia Dunia, ma al roseto mi dedico sempre io”.
Ora il roseto è spettacolare
Sembra impossibile, guardando la vastità degli spazi e le centinaia di piante che, oltre a Lotte Zemmer, nei periodi di maggior impegno siano solo lei e la sorella a occuparsi del giardino, a parte i due ragazzi impiegati per la manutenzione dei sentieri, staccionate, panchine e delle due casette in legno dove sostare con vista sul roseto e le Dolomiti. D’inverno il giardino dorme, protetto dalla neve come da una coperta. I veri nemici sono il gelo, la grandine. Il primo, specie se tardivo, può bruciare i primi boccioli e la grandine, in dieci minuti, rovinare il lavoro di mesi. Ma anche i caprioli non scherzano. Arrivano dal bosco adiacente e fanno strage di rose. I lavori riprendono in aprile, con sei settimane di potature e tre di concimazione.
Esplodono le fioriture e il miracolo si rinnova.
“Ho aperto il roseto al pubblico gratuitamente perché tenere tanta bellezza solo per noi e i nostri clienti mi sembrava un atto di egoismo. Considero doveroso condividerla e, d’altronde, spartire quanto si possiede fa parte della nostra memoria montanara. Se la comunità non fosse stata unita non saremmo andati mai avanti”. A chi le chiede quali rose preferisce, Lotte replica che per lei sono tutte uguali. Anche le più rare. Certo riuscire a far acclimatare la “rosa della cenere”, chiamata così per il particolare colore e raccogliere fioriture fino ai primi di novembre è una grande soddisfazione. Ma nessuna predilezione o parzialità. “Per me le rose sono come figlie. Preferirne una sarebbe impossibile”.
Possiamo ammirare il roseto di Lotte andando a questo collegamento.
di Picci Manzari
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© Riproduzione riservata.