Mulino ad acqua: le farine speciali di Cava Ispica
Nell’800 i viaggiatori inglesi che arrivavano nel sud-est della Sicilia rimanevano affascinati dal mulino ad acqua e in particolare di quelli che si trovavano a Cava Ispica, un canyon di 13 km tra la città di Modica e di Ispica.
Susan Clarke, un’inglese che vive a Modica, nel libro Il fascino della cava, La storia dei viaggiatori inglesi a Cava Ispica, così la descrive: “I lati rocciosi della Cava sono alti e ripidi con centinaia, persino migliaia, di grotte- abitazioni e grotte-tombe e una folta copertura di macchia mediterranea che scende giù dall’altipiano al fondovalle. I carrubi, gli ulivi, i noci e i nespoli offrono la loro ombra agli uomini e agli animali e il fondovalle si trasforma in torrente dopo la pioggia continua di una settimana. Le poiane volano alto nel cielo, gli usignoli cantano al tramonto, le api si posano sopra il variopinto tappeto di ori in primavera e le carrube mature pendono marrone scuro e pesanti alla ne di agosto”.
È questo incantesimo che ha spinto la Clarke a mettere insieme i racconti e i disegni dei viaggiatori inglesi dal 1790 in poi che rimanevano sorpresi da un panorama selvaggio e roccioso e dagli abitanti, che ancora vivevano nelle grotte, probabilmente gli eredi dei primi insediamenti sicani.
Oggi a Cava Ispica, nei pressi del Parco Archeologico, è rimasto solo un mulino ad acqua, forse l’unico funzionante in tutta la Sicilia. È gestito da una famiglia che lo ha accudito per quattro generazioni. Alessandro Cerruto racconta che il suo bisnonno lo prese in affitto alla fine dell’800.
Oggi ne è proprietario e con l’aiuto della madre lo ha fatto diventare un’attrazione turistica con l’annesso museo di utensili rurali ma soprattutto un esempio di molitura a freddo del grano, che assicura una farina di alta qualità, apprezzata anche fuori dall’isola.
“Alla fine della seconda guerra mondiale in Sicilia esistevano ancora 23 mulini ad acqua”, racconta Cerruto a Ville&Casali, “e fino al 1956, questo mulino gestito dai miei nonni e bisnonni era perfettamente funzionante. Poi fu abbandonato, per essere riportato a nuova vita 35 anni fa”.
Il mulino ad acqua chiamato Cavallo d’Ispica
Cavallo d’Ispica, costruito nella seconda metà del ‘700, viene alimentato da una sorgente d’acqua lontana un chilometro, che viene incanalata attraverso una saia, un acquedotto costruito con una tecnica araba per non far evaporare il prezioso liquido e dirottata all’arrivo per farla cadere a cascata in un pozzo di 11 metri, dove giunge con una pressione di circa 1 atmosfera, e fa muovere una ruota a palette, che come una turbina spinge un asse centrale che fa girare in alto le macine, due cerchi in pietra (una chiamata soprana e una sottana) su cui si riversano i chicchi di grano immessi attraverso una tramoggia.
La farina che se ne ricava è integrale, ma può essere resa semi integrale privandola della crusca.
“Rimane solo il cruschello”, precisa Alessandro Cerruto.
Ma qual è il tipo di grano macinato? E quali sono le proprietà delle farine prodotte dal mulino siciliano? “Solo grano duro, una specie detta russello e coltivata da noi”, spiega Cerruto. “È un grano antico, più buono e digeribile di quello venduto da una famosa multinazionale, anche se la produttività di questo frumento è più bassa. Tuttavia, grazie alla lavorazione a freddo del nostro mulino salviamo l’olio di germe di grano che ha il vantaggio di contribuire a ridurre il colesterolo. Non solo. Proteggiamo le proprietà organolettiche dell’alimento, con l’ulteriore vantaggio di ridurre i radicali liberi e il tasso glicemico, nonché di preservare la vitamina E e B1. Bisogna sapere che più il grano si raffina più si perdono queste sostanze”.
La farina prodotta dal mulino ad acqua va consumata entro tre mesi per evitare che si formino le farfalline, ma la sua bontà è insuperabile.
Il mulino Cavallo d’Ispica ha una capacità produttiva di 60 kg all’ora contro i moderni mulini che possono arrivare a 8-10 mila kg nello stesso tempo e produce solo farine integrali e semi integrali, le prime contengono circa il 12 per cento di fibre e le seconde l’8 per cento.
“Se si usa il prodotto integrale per fare il pane bisogna farlo lievitare di più”, avverte Cerruto.
Un’attesa premiata dalla qualità e dalla capacità di poter essere consumato per diversi giorni.
A cura di ENRICO MORELLI
Foto di SIMONE APRILE
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